giovedì 8 marzo 2012

Se ci sei, batti un colpo



E’ amaro constatare che molto spesso si accede alla Politica con l’intenzione di  realizzare il proprio interesse personale. L’interesse della Comunità, che è la ragione fondamentale della Politica medesima, da alcuni – sono troppo buono? – manco è considerato. Né per costoro vi è nessun moto di orgoglio nell’essere “eletti”, nell’essere nelle Istituzioni a rappresentare i 1500-2000 concittadini che hanno espresso quel  voto (perché più o meno tanti voti occorrono ad eleggere un consigliere comunale, almeno in un comune come Pistoia). Altra cosa sono infatti le cosiddette preferenze personali, che vengono espresse per discriminare all’interno di una lista quel consigliere invece dell’altro.
Ora queste faccenduole, che dovrebbero essere note a tutti, di una banalità che a rammentarle quasi provo vergogna, pare che a certi personaggi non siano note, dato che agiscono in barba a quel patto di lealtà che dovrebbe intercorrere – ancorché non scritto, ma che si stipula quando ci si candida con un partito e quando si va a chiedere una preferenza – fra chi ti chiede di rappresentare i suoi interessi e chi quegli interessi deve difendere e rappresentare. Il che, molto semplicemente, sarebbe come dire:  “S’è mandato a comprarci lo zucchero e ha riportato il salame a quegl’altri!”
Ma l’io ipertrofico fa loro immaginare che il mondo intero sia lì, al loro cospetto, per rinnovare ancora una volta, per l’ennesima volta, attraverso il rituale del voto, il segno dell’altrui sudditanza intellettuale. Allora il corpo elettorale e la comunità non sono più visti come fine dell’azione politica ma decadono a meri strumenti della propria affermazione, del proprio moto personale verso gli interessi personali da realizzare.
Così è che assistiamo al transito di alcuni da un partito all’altro con una leggerezza che lascerebbe addirittura sbigottiti, se non vi fossimo oramai abituati, se non la leggessimo come un triste e inevitabile segno dei tempi, dei costumi che questa Repubblica ha da tempo fatti propri. Ovvero, forse come dice il Machiavelli uno tristo cittadino non può male operare in una repubblica che non sia corrotta. E la corruzione, nell’accezione più estesa del termine, ha intossicato ogni cosa a cominciare dai costumi. Siamo così abituati che non ci viene in mente che potremmo cominciare a tirare costoro ogni sorta di ortaggi fradici e uova marce.  Anzi, nel qual caso, paradossalmente, non meraviglierebbe punto ritrovarsi in manette.  E così, per codesto malcostume che imperversa, talora maggioranza diviene minoranza e viceversa, tanto che parrebbe opera di Autolico (Ovidio, Met., XI, 313-314) e il principio stesso della democrazia è travolto, dato che comanda chi ha perso.
Lo spettacolo è gratuito, non si paga il biglietto ma lo sconforto è assicurato.
Ci sono giustificazioni? No. Se uno non è più d’accordo, ha a propria disposizione uno strumento formidabile: le dimissioni. Ma codesto strumento non è più valido, non è più considerabile quando a monte non c’è il patto, quando i concetti/valori di fedeltà, lealtà, correttezza, serietà non sono manco presi in considerazione, quando, come scrivevo in apertura, l’impulso al timone è dato dall’interesse.
u.s.
Illustrazione: Mino Maccari, "Se ci sei, batti un colpo",
Il Selvaggio, 15 novembre 1931, anno VIII, n° 18, p. 69.