venerdì 30 marzo 2012

Il volo della gallina






Caro Alessio,
sei formidabile! Hai la capacità, rara, di riattivare i ricordi, anche in chi, come me, comincia ad avere qualche difficoltà! La tua chiusa sul volo, in http://quarratanews.blogspot.it/2012/03/bartolomei-bartoli-il-vento-del.html#more , è decisamente un toccasana per la memoria: “ il vento che spira ancora forte e non può essere più fermato: “Pistoia Futura” può, adesso, ambire a spiccare il volo”, ha richiamato in me un caro pensiero.
Zia Amelia (la sorella di una nonna mai conosciuta), spesso, quando andavo a trovarla, mi diceva: “Vai nel pollaio a prendere un ovino! Prendilo caldo!” Soggiungeva.  E io, con passo incerto e timoroso, mi avventuravo fra casine e casotti acutamente odorosi di guano.
Fu allora – avrò avuto all’incirca cinque anni – che scoprii che anche le galline volavano. Una rossa, ricordo benissimo, cominciava a correre e schiamazzare, poi ad agitare le ali per sollevarsi, faticosamente, in un volo breve e pesante, inadeguato al bisogno, che inesorabilmente cessava dopo due o tre metri. Ecco, Alessio, vedi, non volendo hai ravvivato un ricordo! Io non so, oggi, se la tua “Pistoia Futura” riuscirà a staccarsi dal suolo, ma, certo, l’idea di quel volo, mi rammenta la rossa gallina dell’Amelia.

* * *

Sei formidabile, Alessio! La tua lettera a Bartoli è un capolavoro: pare – quasi – che Nasone ti sia stato  maestro. Un’arte amatoria così è pagina da manuale. Blandisci tanto  bene il Professore, sei così suadente, così prodigo nei complimenti che, guarda, se non fossero tutti sicuri che lo fai per interesse, quasi verrebbero altri pensieri. Però, vedi, forse non ti accorgi che i sostenitori, gli amici, i tesserati che finora hanno approvato Bartoli con sincerità, che si sono dimostrati disposti a tutto, intuiscono benissimo il tuo “arguto” disegno: ché, Alessio, ti interessano forse i loro voti? Credi che non abbiano capito che del Professore t’importa ben poco? Io penso, invece, che la tua veemente opera di seduzione potrà presto irritarli.
Vedi Alessio, tu non ci hai ancora, molto probabilmente, riflettuto sopra, ma, gli elettori, i nostri concittadini, non sono, né amano – ne sono fermamente convinto –, esser considerati come valigie, o, peggio, come delle pecore, le quali possono essere spostate indifferentemente, anche in camion, da un luogo ad un altro, dalla pianura ai pascoli più freschi della montagna. Guarda, Alessio, che quelli, per un’idea o un sogno, avevano rinunciato al certo per l’insicuro. Mica è gente da poco! Credi che possano così facilmente spostarsi da un partito a un altro al solo fischiare del pastorello o alle mosse d’un cane da pecore – come certi politicanti –?
Ora, vedi, io comprendo benissimo che alcuni possano figurarsi il mondo come gli fa più comodo, ma, credimi, occorre considerare che le persone vere amano pensare e scegliere con la propria testa. Anche sbagliare, ma con la propria testa.

* * *

Sei formidabile, Alessio! Ti rivolgi alla gente come se fossi tornato in “patria” da un lontano paese, dopo anni, e, scoprendo il “difetto” della politica, la sua inefficacia, la di lei incapacità a risolvere i problemi, avessi a un punto deciso di rimboccarti le maniche chiamando il popolo, la civica comunità, all’appello per imboccare con lei altra via. – E meno male che ora ci sono io! –
Ma, scusa, non sei tu quell’Alessio Bartolomei che è segretario provinciale del partito di Fini? Non sei tu quello che era, fino a ieri, capogruppo di Forza Italia? Non sei, forse tu, quell’Alessio che era, anni fa, esponente del CCD,CDU,UDC – ora ben non rammento –?
Non sei quello stesso che orgogliosamente ha cento volte avvertito di venire dalla vecchia gloriosa DC? E, ancora, non sei quell’Alessio che da diciott’anni siede in Consiglio a rappresentare partiti? E ancor prima alla Circoscrizione, a ripetere – più o meno – le medesime cose? Correggimi, se sbaglio!
Il travestimento, la tuta mimetica, in certe circostanze vanno benissimo! Ma travestirsi in casa propria, dove tutti ti conoscono e sanno chi sei, non è un po’ ridicolo? Pare la finzione di uno – uso le tue parole – che “si compiace solo di sé stesso…”, o, forse, l’ennesima trovata di un “furbacchione” che con la storia del “civico”, delle belle frasi, delle parole “struggenti”e ispirate, illudendo di prendere le distanza dai partiti (che lì sono e lì restano), cerca solo di galleggiare. Ancora un pochino.

u.s.

Immagine:
Il più grande spettacolo sulla terra

mercoledì 28 marzo 2012

In braghe di tela



Caro Prof. Bartoli,
lei ha deciso di ritirarsi. Tutto sommato ha preso la decisione giusta. Perché, meglio ora che più avanti, quando l’acqua nel guado sarebbe stata ancora più alta. E, benché, la stagione sia mite, lasciare gli amici, i sostenitori, gli iscritti, insomma tutti quelli che hanno creduto in lei, in braghe di tela, ancora più lontani dalla riva, sarebbe stato certamente peggiore.
“Tengo famiglia”, in fondo, ha prevalso. Il vecchio, logoro, triste, motto nazionale di Flaiano (o Longanesi, chissà!) ha colpito ancora. Personalmente sono indifferente, forse un po’ deluso, deluso da Lei e dispiaciuto perché comprendo l’amarezza di quanti l’avevano seguito fiduciosi, e che ora si sentono certo traditi. Mollati in mezzo alla corrente. Episodi analoghi, nella storia, nella cronaca e perfino nelle assemblee di condominio, ce ne sono tanti. In buona sostanza anche lei ha fatto come certi conquistadores spagnoli, che bruciavano le navi. Ma a differenza di loro, che andavano avanti, a qualsiasi prezzo, su qualsiasi terreno e difficoltà, lei ha preferito fare, perdonerà, il gesto dell’ombrello.

Il fine politico Bartolomei, “l’uomo delle stelle”, che la metteva al centro delle sue “sottili fumisterie politologiche”, che la blandiva cercando di sedurla con la storiella “dei nuovi scenari che Lei andava disegnando”, ha confermato ancora una volta la superficialità della sua “scienza”, l’approssimazione della sua analisi. Ha dimostrato la fragilità di un “pensiero” politico incapace di distinguere fra realtà e desiderio, la debolezza di una teoria incapace di prefigurare che solo pochi, forse, l’avrebbero seguita in quelle” lande” e che, nel qual caso, il fatidico gesto – dell’ombrello, intendo – sarebbe stato pressoché corale, simultaneo, prelusivo di un vuoto presente e futuro. Personalmente la reputo intellettualmente vivace, acuto, ed ero quindi sicuro che lei non avrebbe assecondato l’apprendista stregone. Già ritenevo una forzatura – per la verità poco comprensibile – il suo strappo, conseguente alla chiusura dimostrata da Bertinelli nei suoi confronti. Considero, infatti, contrario alle esigenze del governare “sicuri” ogni sorta di dualismo, ancor più pericoloso se di livello, se sostenuto da un modello alternativo e confortato da un apprezzabile seguito.

Forse, Professore, s’è fatto prendere la mano dal consenso, dalla sincerità vera dei sostenitori, degli amici, degli estimatori, e non ha subito ben valutato dove stava andando a parare; forse, Professore, il momento giusto per fare un passo addietro era quello dell’assemblea, dove, invece, a quel che rammento di aver letto, lei ha incendiato animi già pronti all’innesco, parlando “di una guerra senza esclusione di colpi”. Ma ognuno decide ciò che vuole e nel momento che più ritiene opportuno. Solo l’autore conosce il perché e il per come. E qui nessuno rilascia patenti. Già, Antonio Nardi, in http://blog.studenti.it/domenicalaura/le-contraddizioni-del-professore/, ha colto le sue contraddizioni: io, condividendone il pensiero, non entrerò nel merito.

Posso ricordarLe, però, che quando si crede in qualcosa, quando si è animati da fede sincera nei valori che si assumono a modello, si può andare sicuri, con fermezza, per la propria strada. Anche se si perdono amici (quelli che amici veri non sono); anche se pian piano ci si trova da soli; anche se ogni giorno si è presi dal dubbio su ciò che si fa, sui costi che si fanno pagare ai propri cari; anche quando non c’è democrazia o liberaldemocrazia che lo consenta, e non c’è una lira, la speranza di riconoscimenti, non si parli di una poltrona!
La nostra storia è piena di esempi, piccoli e grandi; anche piccoli piccoli, e le vie e le piazze della nostra città spesso ne portano i nomi, senza tanto dover andare lontano.

Cordialmente,
u.s.

Immagine:
H. Daumier, Un abus de confiance, 1842, litografia, particolare.

lunedì 26 marzo 2012

“L’uomo delle stelle”





Ho percepito vaghe melodie già prima d’accendere il computer. Violini, viole, più “sorda” la voce di un contrabbasso, certamente il lieve e dolcissimo accordarsi sul fondo di un oboe. Sul momento non capivo. Aperta la posta la musica s’è fatta più chiara: Quarrata News: http://quarratanews.blogspot.it/2012/03/terzo-polo-la-squadra-e-pronta-e-in.html . Non dubitavo! Ho rammentato subito di quando Paolo Tesi (il pittore) mi venne a trovare con la Biba, il suo boxer. Sbavò dappertutto. Incontenibile. Non c’era un motivo oggettivo che giustificasse, nell’ambiente circostante o negli ospiti, tale e tanta acquolina alla bocca. Né, oggettivamente, si può intravedere una ragione per cui l’elettorato pistoiese possa allinearsi alla incredibile “polluzione” mucosa che si coglie alla lettura.  Ma ognuno, si sa, ha il diritto di sbavare per chi gli pare, per chi meglio gli aggrada. Anche per Alessio Bartolomei[1]. Anche per il Terzo Polo.
Il redattore dell’articolo si meraviglia dell’inspiegabile ritardo di Bartolomei, che per l’occasione definisce “l’uomo delle stelle”, attorno al quale guizzano gioiosamente, in attesa, trepidanti perché puntuali – si coglie –, “i suoi delfini”. Si vede che il redattore, il Bartolomei, lo conosce poco. E allora glielo dico io: il Bartolomei è sempre in ritardo! Anche su se stesso! Mai una volta, da che lo conosco, che sia stato puntuale!
Per intanto, nell’attesa del novello Gaio Mèmmio, che tarda, i “delfini” snocciolano – non le ciliegie, che è presto – ma i punti programmatici di questa sorta di nuovo CAF nostrale (da non fraintendere con il Centro per l’Assistenza Fiscale), dato che, per l’eterogenea composizione, rammenta fortemente l’asse del centrosinistra d’un tempo: Craxi-Andreotti-Forlani, ricordate?
I propositi con cui il Terzo Polo, che nel frattempo par già aver perso una gamba (speriamo non quella!), – l’ApI di Rutelli [2]–,  sono ambiziosi. E’ un programma da Große Koalition, da, come diceva la buonanima di mia suocera, che Dio la riposi: “Per favore, più piccine e più spesso!” Ci manca solo, in questa progettualità da Große Koalition – si fa per dire – il Velodromo che s’inventò l’amico Pileggi, quando il Giro d’Italia ebbe a passare ed egli scoprì negli indigeni tanto entusiasmo per il ciclismo! Ma lo sport, – osserva acutamente il redattore apologeta  da ultimo e diciamoci la verità, per forza.
Così, di seguito, apprendiamo che lo sciamano Bartolomei, dotato di taumaturgici poteri predice: “La politica sta male e noi abbiamo il dovere, e credo anche il potere, di poterla rivitalizzare”. Attenzione: non il potere di rivitalizzarla, che sarebbe una cosa seria, bensì il “potere di poterla” – politichese! –, il che non significa affatto rivitalizzarla. La formula magica? La ricetta? Di una novità impressionante. Mai tali parole furono udite sulle labbra di un politico. Mai tanto effetto fecero sugli astanti: “Lo faremo usando la nostra metodologia, che è chiarezza, onestà, serietà, abnegazione, professionalità.”
 Mai tanta aria fu fritta in una sola volta. Il bluff continua!
Terzo Polo? Auguri!
u.s.


[1]  Che, udite udite, dichiara: “non ho mai sofferto di presunzione”, come se per cinque anni non avesse [omissis] a tutti,  con i suoi voti di preferenza: il più votato della Toscana!
[2]  A Pistoia il mondo gira alla rovescia: il craxiano dichiarato ex vicesindaco PSI se ne va con gli ex Dc, mentre, l’ex Dc doc, segretario comunale dell’Alleanza per l’Italia di Rutelli, trova asilo sotto l’insegna della Marianna, in una lista di Socialisti doc, o quasi.

venerdì 23 marzo 2012

Partenogenesi







Io non sono un analista di dati elettorali, né m’intendo di statistica, di demografia ecc. Mi ritengo solo una persona, come molte, appassionata alla Politica e, quindi, inevitabilmente, interessato alle cose che ci circondano, le quali, tutte, con la politica in un modo o nell’altro hanno a che fare. Come tutti, immagino, avverto il desiderio di comprendere cosa accadrà nel futuro, prossimo e meno prossimo, per questo, invece di interpretare il volo degli uccelli e la disposizione degli ossicini gettati al suolo, come facevano un tempo, tento di interpretare i fatti. Più o meno grossolanamente. Mi si vorrà perdonare.

Mi domando: dove potrà portarci (intendo noi, la nostra democrazia) l’eccessivo frazionamento del quadro politico? La proliferazione delle liste elettorali per le prossime amministrative del 6-7 maggio è un fatto.
Riusciranno tutte a raccogliere le firme necessarie per essere presentate? Non so dirlo. Fino a che punto continuerà, prima di arrestarsi, il processo di frammentazione del quadro politico? E l’elettorato, asseconderà questa “irragionevole” parcellizzazione? E dopo, cosa potrà accadere?

Leggo: Lucca “Dinelli si candida e porta il numero degli aspiranti sindaco a quindici”, http://www.loschermo.it/articoli/view/41800, ma le liste, quante sono? Certo molte di più: leggendo l’articolo se ne può cogliere il numero fra le righe (ovviamente di Pistoia per il momento preferisco non parlare). Ho controllato i dati elettorali: Lucca, amministrative 2007: affluenza al primo turno (quello in cui si eleggono i consiglieri comunali) 67,2%. Ora, anche molto all’ingrosso, considerando che il Testo Unico degli Enti Locali (Tuel) stabilisce (art. 73, comma 7) che non è ammesso alla ripartizione dei seggi chi non supera il 3%, mi domando: quante potranno essere le liste che non riusciranno a raggiungere quella fatidica soglia? Pur tuttavia, di quanto eroderanno, assieme alle schede bianche e le nulle, posto che la partecipazione al voto si mantenga al 67,2%, il “monte” dei voti utili a concorrere alla ripartizione dei seggi? Sulla partecipazione al voto, infatti, nutro seri dubbi che la frammentazione possa far aumentare nell’elettorato la fiducia, dato che parrebbe proprio un prodotto della sfiducia medesima, che ha messo capo al “fai da te”.Quale sarà, infine, la percentuale dei voti che determinerà la maggioranza? Il sistema è e resta rappresentativo. Ma, sotto una certa soglia, rappresentativo di cosa?

Un “amico”– un artista, piccolo editore, uomo insomma di livello culturale decisamente apprezzabile – , stamattina, in un occasionale scambio di battute sulle cose della nostra città, mi ha appalesato, con molto garbo, oltre al disagio per l’eccessiva lunghezza dei miei post, la sensazione di una mia poca democraticità (è un sostenitore di Bartoli). Che si coglierebbe, secondo lui, in quello che vado scrivendo. Non saprei dire se ha ragione. Difficile giudicare se stessi con scale di valori e di giudizio che non ci appartengono – anzi, che non si conoscono affatto, dato che appartengono alla cultura di altri –. Posso solo dire che resto molto perplesso, quando mi pare di cogliere, nella realtà di tutti i giorni, i caratteri di un inarrestabile processo degenerativo che, a mio vedere, non porta a nulla. A nulla di buono, intendo. Quando leggo infatti di quindici candidati a sindaco per una sola città, per un solo Comune, mi viene da rammentare che ciascuno di loro è tenuto dalla legge a presentarsi con un programma elettorale. Quindi in teoria, a Lucca – ma riguarda solo Lucca? – potremmo avere 15 candidati con altrettanti differenti progetti di città e di Comune. Saranno così apprezzabili le differenze contenute in quei programmi da giustificare – seriamente – altrettante volontà di affermazione elettorale? O, ad un certo punto, la suddivisione in una scala di grigi contenuta fra il bianco e il nero, rende le differenze – anche senza arrivare a gamma infinito –, pressoché irrilevanti? O si tratta, se vogliamo chiamarlo col suo nome, di mero velleitarismo?

Io credo infatti che esso sia il prodotto di una società, che anche grazie all’egualitarismo imbecille propalato a man salva a partire dagli anni ’70, ha perduto il senso della misura, ha smarrito la capacità di cogliere il valore reale delle persone e riconoscere in esso quella gerarchia del merito, della competenza, senza l’apprezzamento della quale nel sistema sociale tutto finisce in “vacca”. È, mio caro amico, la conseguenza – anche – della disgregazione dei partiti tradizionali, i quali certamente potevano essere al loro interno poco democratici, potevano essere senz’altro affetti dalle patologie che Tangentopoli rese evidenti e che tuttora, purtroppo, permangono, epperò risultavano, comunque, strumenti formidabili per la formazione politica – e amministrativa – della cosiddetta classe dirigente. Questione che oggi, il sistema oligarchico degli “eletti”, preferisce ignorare, avendo adottato il meccanismo della cooptazione, prevalentemente di personaggi di dubbio valore e spessore. Primo, perché da essi nulla hanno da temere (certo, non, esser fatti fuori da chi è più imbecille di loro – o ricattabile?–). Secondo, perché il meccanismo si ripete a caduta (di livello, intendo) cosicché, senza il ricambio apicale dei “migliori”, man mano che questi vengono meno, tutti avanzano di una posizione, in questo modo la mediocrità aumenta e si espande – penso anche agli incarichi, alle nomine pubbliche e via discorrendo in materia –, fino al punto in cui siamo, dove le conseguenze di ciò sono sotto gli occhi di tutti. E tutti le stiamo pagando.

Credo, amico mio, che avvertire di pericoli, storture e manifestare timore per i rischi che stiamo correndo sia un modo per difendere la democrazia. Ma certo potrei sbagliare.

Perdonerai se, ancora, troppo mi son dilungato.

u.s.
L'immagine: Jacques Callot

mercoledì 21 marzo 2012

L’intruglio



Voglio sperare che Roberto Bartoli, in tanto marasma, sia contento che Alessio Bartolomei gli abbia scritto una sua lettera aperta, invece di quella di un altro (http://quarratanews.blogspot.it/2012/03/bartolomei-bartoli-stai-disegnando.html#more) . Sarebbe certo stato imbarazzante anche immaginare di rispondere ad un altro rivolgendosi ad Alessio Bartolomei. Fin qui, la celia, inevitabile, dato il tipo. Perdonerete. Ma la questione, fra il patetico e il divertente, elaborata dal fine politico nostrano, almeno così fingeva di atteggiarsi questa sera al margine del Consiglio comunale, elargendomi stringate sottili fumisterie politologiche, mi ha rammentato – chissà come mai! – una gita che con amici si fece anni addietro in quel di Sarteano (vicino Chiusi), ai confini di Toscana. Non vi dirò dei “pici”, speciali, ma bensì di un aperitivo, o specie di cocktail che l’ “esperta” di turno, occasionale della brigata, decise di confezionare per la nostra delizia. Rammenterò sempre la porcheria, che finì, fortunatamente – certo non per la pianta – ad irrorare le radici di un rigoglioso beniamino.
Io in verità sono un “tantino” sconcertato: va bene che se ne vedono di tutti i colori; va bene che quelli che passano da un partito ad un altro senza ritegno alcuno si contano oramai a decine; va bene che tutti hanno idea che anche in politica si fa mercato delle vacche, che non meraviglia più la clonazione, né l’inseminazione artificiale; va bene che tutti sanno oramai delle prodigiose possibilità delle cellule staminali… Eppoi, che metterci?… Del matrimonio fra gay?... Delle avventure coi viados? Ma pensare che la gente, la nostra gente, quella che incontriamo tutti i giorno al supermercato, in farmacia, nella sala d’attesa del medico o alla bancarella del verduraio, quella stessa gente che oramai di malavoglia si reca, sempre in minor numero, a votare, sia disposta a spostarsi, a fluttuare di qua e di là, come le marionette, come i burattini di Mangiafuoco, ovvero a farsi gettare nel fuoco per finire di rosolare a modo il quarto di montone del burattinaio di turno, è proprio – mi permetterete – una grossolana, incredibile “panzana” (eufemisticamente). Che si commenta da sola. Che, forse, freudianamente, potrebbe dall’inconscio aver suggerito: “guarda, la lettera che ti scrivo è mia, ma vorrei che a scrivertela fosse un altro!”
A me, in verità, non è il matrimonio che non si farà, che mi sconcerta (nella politica come nella vita ci sono i diritti e i rovesci, la buona a la cattiva sorte, e quello che è andato male oggi si farà andar bene domani), ma il matrimonio che il Bartolomei sembra voler auspicare. Mi preoccupano i figlioli che nasceranno – se si farà! –. Credimi Bartolomei, meglio l’onanismo, che mettere al mondo dei disgraziati!
Eppoi, caro Alessio – e non so se Bartoli si presterà al tuo gioco (troppo intelligente! Bartoli) –, guarda che la gente vera, quella che dicevo di sopra, non ha mica più tanta pazienza. Giocate, giocate ancora col Piccolo chimico. Cercate, cercate ancora le “convergenze parallele” o, come celiava felicemente Arbore, “i  bisonti, equidistanti e convalescenti”, o, ancora, come soggiungeva, di spalla, l’acuto Boncompagni: “ i burropardi nei burroni”… La gente vera – le signore mi perdoneranno – ne ha le palle piene (non eufemisticamente). Eccoli, Alessiuccio, gli scenari da considerare. E voi non ve ne siete ancora accorti.
u.s.

L’illustrazione:
Jacques Callot, I Gobbi, Acquaforte, 1616

lunedì 19 marzo 2012

Ubi maior minor cessat



The British Hamlet -
1 Chi punta e poi non spara/È un uomo nella bara
2 Chi spara spera/Chi non spara spira
3 Chi il grilletto non pigia/Può far la valigia"


Ho letto con attenzione la lettera che il Signor Marco Benedetti ha inviato a Waterloo. (http://blog.studenti.it/domenicalaura/primarie-e-governo-della-citta/). Una lettera il cui contenuto condivido, a prescindere dalle questioni sollevate che ineriscono alle persone, dato che, nello specifico, attengono fatti di casa altrui, fatti in cui non intendo entrare né commentare. Mi piacerebbe, infatti, tentare di astrarre dalle questioni dell’ora, pur vive e interessanti, per osservare alcune cose, sulle quali da tempo vado riflettendo,  forse di rilievo non secondario rispetto ai problemi sollevati.
In primo luogo, vorrei rammentare che il disfacimento dei partiti tradizionali, molto strutturati, radicati territorialmente e talvolta, com’era per il PCI, rigidamente organizzati (si parlava a ragione, in quel caso, di centralismo democratico), ha lasciato il posto, molto spesso, a comitati elettorali che durano più o meno il torno di tempo necessario alle elezioni, oppure a partiti di struttura assai più leggera, più simili a movimenti di idee, sorta di terminal aeroportuali, dove le persone si incontrano, si scambiano, ma ben poco rimane. Organizzazioni, quindi, di carattere flessibile, programmaticamente fragile, insicuro, sempre pronte a cavalcare (in “cornu” opposizione), strumentalizzandola, questa o quella protesta, questo o quel comitato, con la speranza di raccogliere consenso e voti; ovvero al piegarsi, talora irragionevolmente, se maggioranza,  pur di non perdere consensi. Ambienti codesti, però, che ben poco o nulla possono fare per preparare e quindi selezionare la propria classe dirigente, meno che meno secondo criteri di merito, fino al paradosso che ci si affida all’incerto meccanismo delle “primarie” per selezionare, non dico un qualche consigliere, ma addirittura i candidati alla carica di sindaco. Insomma, per selezionare la persona che dovrà ricoprire una carica tanto delicata, si ricorre, non alla competenza o all’esperienza provata, certificata, di esperti selezionatori, quali erano – o tentavano di essere – un tempo le segreterie politiche dei partiti, bensì facendo ricorso ad uno strumento insicuro, grossolano, inquinabile come le cosiddette “primarie”, ancorché democratico. Argomento, quest’ultimo, che si presterebbe ad un ampio corollario di considerazioni, specie in ordine agli strumenti che possono oggi essere adottati per conseguire un ampio consenso prescindendo dalla qualità, dal merito. Aggiungo: assistiamo al paradosso  per cui le figure di riferimento apicale vengono selezionate come detto con metodo incerto, i quadri intermedi (nazionali e regionali), invece, attraverso la cooptazione, in un sistema elettorale che ha eliminato ogni possibilità di scelta. In buona sostanza si potrebbe dire che il potere è tutto nelle mani di scribi e sacerdoti (la casta?), per i quali la figura del faraone è puramente rappresentativa.
Occorre, altresì, considerare come codesto “disfacimento”, anche dovuto alla cosiddetta caduta dei modelli ideologici di riferimento, ha privato le restanti strutture di partito della capacità di fornire le soluzioni che i rispettivi  modelli consentivano di tenere lì, preconfezionate, o immediatamente elaborabili, per ogni sorta di occasione. E’ accaduto, quindi, che codesti apparati residuali, pressoché svuotati, inseriti in un quadro reale sempre più articolato, difficile da comprendere, da  interpretare, si sono dimostrati vacui, inutili strumenti, assolutamente incapaci di stare al passo coi tempi in rapido mutamento, incapaci di fornire soluzioni adeguate, credibili, chiare.
In questo quadro di caduta della credibilità anche per le posizioni contraddittorie assunte sui medesimi temi, spesso perfino al mutar dei confini comunali, ha reso evidente il sostanziale vuoto della politica e le varie comunità locali, sfiduciate nei confronti delle Istituzioni e dei loro “governi” e oggi assai più emancipate e desiderose di cimentarsi nel “fai da te” della democrazia diretta – molto spesso con sinergie trasversali incentrate sulle cose da fare o impedire –, hanno imboccato la via dei comitati. I quali a loro volta si sono spesso dimostrati riottosi al dialogo e capaci di intralciare pesantemente quel poco di progettualità che restava alla politica, talvolta irretendola o bloccandola letteralmente.
In questo panorama, quell’indefinibile residuo dei partiti tradizionali, senza filtri d’accesso (rammento le vecchie commissioni di accettazione e disciplina che si eleggevano nei congressi), e quindi con porte e finestre spalancate, sono stati letteralmente assaliti da ogni sorta di “avventurieri” (altro ampio capitolo da sviluppare a parte), coi risultati che sono sotto gli occhi di tutti: qui basta dire che gruppi , lobbies e camarille proliferano, come certi personaggi sempre pronti a transumare di qua o di là, quando non ricorrano al ricatto per ottenere questo o quel favore in cambio del proprio sostegno.
Almeno questo dovrebbero aver insegnato gli ultimi anni di “governo” delle Istituzioni locali. Va da sé che un candidato alla carica di Sindaco, dotato di un minimo di esperienza, di contezza del variegato quadro politico locale, che ben conosca le squadre, gli allenatori, i singoli giocatori, non potrà che tentare in ogni modo di blindare la propria maggioranza per garantirsi la cosiddetta “governabilità”. In specie quando le vacche son magre ed occorre decidere, spesso impietosamente, le cose da fare. Non deve meravigliare in negativo, quindi, che un candidato sindaco voglia garantirsi la governabilità per tutto il mandato. Che intenda primariamente escludere i propri competitor (o i loro uomini), ancor più legittimamente se costoro sono persone di valore e carattere, dotati di un proprio progetto amministrativo, che indubbiamente mai mancherà di manifestarsi come soluzione alternativa, realizzando di fatto un inaccettabile dualismo. Nel migliore dei casi.
Del resto, ma molti sembrano esserselo dimenticato, la legge che prevede l’elezione diretta del Primo cittadino adotta meccanismi che a questo vorrebbero garantire la governabilità, salvo – beninteso – agguati, tradimenti o assalti, nottetempo, dei tagliagole del proprio partito.
u.s.
l’illustrazione:
Mino Maccari, "The British Hamlet -
1 Chi punta e poi non spara/È un uomo nella bara
2 Chi spara spera/Chi non spara spira
3 Chi il grilletto non pigia/Può far la valigia",

Il Selvaggio, 31 dicembre 1935, anno XII, n° 5-6, p. 33.
Linoleum, cm 47,3 x34,5.

sabato 17 marzo 2012

La Città del “silenzio”





Da quarant’anni vivo a Pistoia e, forse perché pistoiese di adozione, provo un forte risentimento per le condizioni che obbligano negli ultimi anni la nostra Città a scivolare inesorabilmente, anno dopo anno, sempre più in basso nelle classifiche nazionali. Il vedere da bellunese la mia Città natale in testa a quelle classifiche non mi consola affatto; anzi aumenta il senso di reazione.
Quello che non comprendo è la rassegnazione, il rifiuto di ciò che è “nuovo”, serpeggiare nella nostra Comunità, come se l’ineluttabile scorrere della cose non possa essere diversamente orientato: indifferenza, insensibilità; quello che il poeta D’Annunzio definì benevolmente “silenzio”.
Lo spunto per queste considerazioni è un’amara constatazione su come Pistoia ha celebrato l’Anniversario dell’Unità d’Italia: un’occasione perduta per onorare Garibaldi, esistendo nella Piazza omonima un monumento equestre tra i più belli.
Ebbene, a nessuno - nemmeno al primo cittadino a cui sta così a cuore la Città - è venuto spontaneo di gettare uno sguardo critico sullo squallido giardino che lo circonda. Riqualificare degnamente l’intorno del monumento poteva essere un segno di omaggio all’Eroe che quell’Unità ha materialmente costruito.
Così le palme mal potate, i cedri tagliati, le panchine vecchie e sporche, i percorsi di travertino (quanta pietra serena tolta dalle strade del centro avrebbe potuto essere reimpiegata), i bidoni dei rifiuti debordanti di sacchetti e maleodoranti, la pensilina del Copit lì a deturpare il vicino monumento, non hanno suscitato, né suscitano, un moto in nessuno. Pensare che Pistoia viene definita “capitale del verde”!
Purtroppo il pistoiese è abituato agli scempi delle bellezze che la sua Città ha subito nel succedersi degli anni e delle Amministrazioni: dalla distruzione di un tratto di mura a nord, all’oscuramento di tutto il tratto ad ovest, alla costruzione sui bastioni di case private e di scuole, alla deturpazione del paesaggio collinare con edifici che hanno lasciato il solo segno negativo.
Il nuovo ospedale nasce nel luogo deputato ad essere il “biglietto di presentazione della Città del verde” e presto sarà fatta “violenza” ad una delle più belle chiese romaniche costretta a convivere con un parcheggio sotterraneo nel “pantano”.

Fabio Cannizzaro

                                                                                 





Ho pubblicato volentieri l’articolo inviatomi dall’Avv. Fabio Cannizzaro perché “fotografa” la realtà. Poi, non secondariamente, perché mi fornisce l’inattesa occasione di per riprodurre il Discorso di Giosuè Carducci Per la Morte di Giuseppe Garibaldi, Bologna, 1882, che fu pronunziato il 4 giugno 1882, due giorni dopo la morte dell’Eroe.
Due anni fa il caro amico Dr. Giuseppe Magnarelli, ebbe a farmi notare, a riprova che ben poco muta nei costumi e nella politica, come in queste pagine celebrative vi fossero passi di una incredibile attualità. Questo mi indusse a ricopiare le malandate fotocopie dell’opuscolo, tentando di rendere il testo di più agevole lettura. Chi segue il Blog potrà trovarle in http://umbertosemplici-archivio.blogspot.it/2012/03/per-la-morte-di-giuseppe-garibaldi.html




Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un progressivo, inarrestabile degrado della Politica. Spesso ad un incomprensibile scambio dei ruoli, delle parti in commedia. Fino al punto che in certi casi mi è accaduto di osservare come, malgrado le agitazioni di piazza opportunamente istigate, facessero di più e meglio l’interesse dell’elettorato di sinistra e del cosiddetto mondo operaio i governi di Centrodestra, che non quelli di Centrosinistra, che, specie agli operai, han fatto mangiare anche “brutte cose”. Tutti zitti! Allineati e coperti. Non un moto di protesta. Tant’è!
Ho visto passare la Sinistra dal garantismo assoluto al più feroce giustizialismo forcaiolo, e viceversa la Destra. Quanto al trasformismo non se ne parla: è tragicamente attuale, si può dire a cominciare dall’assemblea di condominio…
Passando al nostro Comune, che fra poco più di un mese va alle elezioni amministrative, è sotto gli occhi di tutti il disfacimento delle tradizionali strutture partitiche in nome di sofisticati distinguo, di bizantinismi sovente incomprensibili all’elettorato, molto spesso mossi da spinte individualistiche, da lotte di potere che ben poco hanno a che vedere con i veri interessi della comunità (e dell'Istituzione). Insomma i Turchi sono alle porte armati fino ai denti (vi si legga la crisi economica, la crescente disoccupazione (1), la stagnazione, “forse” la recessione, l’aumento della tassazione a livelli insopportabili e, contestualmente, dei costi, anche dei beni di prima necessità) e qui si stanno a fare speciose questioni di posti e poltrone, ovvero di collocazione più al centro del centro ma meno a sinistra della destra della sinistra.
Tutto questo discutere onanistico del sesso degli angeli finirà, se Dio vuole, per spazzare via tutta una classe politica di finte “anime belle”, di “sopravvissuti”, anzi di “zombie” cosiddetti, di morti viventi, insomma, che riceveranno, mi auguro presto, un sonoro, modulato, prolungato pernacchio, come solo il popolino, sapientemente addestrato dall’Eduardo di turno, emetterà coralmente, appassionatamente.
Ma mi accorgo di essermi fatto prendere, forse sopraffare dal "sentimento". E’ ora il caso di chiudere con un’alzata di tono. Eccovi allora il Carducci:

... Coraggio, o partiti, coraggio; e spiegate le vostre glorie intorno al letto di morte dell’eroe. Avanti la Destra, anarchica e socialista per ragguantare il potere! Avanti la Sinistra, conservatrice e sbirra per ritenerlo!... F. di voi progressisti, con le soperchierie dei saliti ad altezze insperate con le paure di aver fatto troppo o di troppo fare per rimanerci! E voi repubblicani, col bizantinismo sonante, con le frasi che s’infingono di minacciare e spaventare e mal richiamano a un Bengodi in aria il popolo che non v’intende, voi spicciolati in tante sètte quante son le formole se non le idee, quante le vanità se non le ambizioni, sì che gli avversari posson dire di voi — E’ fanno di gran rumore, ma sono quattro noci in un sacco! — Né manchino i socialisti, almeno quelli che custodiscono e rinnovano a freddo nei loro pensieri e nei sogni certe idee e certe scene nelle quali la sensuale leggerezza celtica si accoppia libidinosamente alla torva crudeltà druidica; e le sarebbero in Italia, dove tanta Plebe è, per debolezza e superstizione, inconscia della vita, accademie, più che pericolose, innocenti, se non distraessero giovini nobili d’ingegno e di cuore dal servire più utilmente ai doveri verso la patrie e ai bisogni del popolo, se non seducessero i male avvertiti e non intelligenti per vie delle quali nessuno sa la riuscita...


(1) Poco più di un mese fa sono stato colpito da un giovane perito informatico, di Agliana, che era salito fino all’Agriturismo delle Roncacce, più su del Melo, proprio l’ultima fattoria prima del crinale, per cercare, inutilmente, lavoro: un lavoro per il quale era disposto perfino a ricevere solo vitto e alloggio.


Per le notizie storiche relative al Monumento e alla sua inaugurazione Cfr. AA.VV., Massoneria e società civile: Pistoia e la Val di Nievole dall’unità al secondo dopoguerra, a cura di Fulvio Conti, Franco Angeli Editore, Milano, 2003, pp. 86-87

Le illustrazioni (cliccarci sopra per ingrandire).
Una foto, la prima, da me scattata proprio ieri rappresenta la piazza così come descritta dall’Avv. Fabio Cannizzaro.
La seconda è una cartolina che porta la data del 7 novembre 1902, prima della collocazione del Monumento a Garibaldi.
La terza rappresenta l’inaugurazione del monumento il 17 luglio 1904.
La quarta rappresenta la piazza e il monumento con, sullo sfondo, il Palazzo della Camera di Commercio e presumibilmente è databile alla fine degli anni ’30.

Ringrazio caldamente il collezionista, Signor Emiliano Nappini, che molto gentilmente mi ha fatto accedere alla sua preziosa raccolta.
u.s.

venerdì 16 marzo 2012

Sirena d’uscita



Il candidato “futuro e sindaco” – forse – Bartolomei[i], scrive a Bartoli[ii] (http://quarratanews.blogspot.com/2012/03/bartolomei-bartoli-continuiamo-la.html#more).
Vorrebbe essere, il Bartolomei, un’ammaliatrice sirena, ma pare, invece, uno stridente sibilo di fabbrica (se si vuole di prossimo bombardamento). Sarà Bartoli assieme ai suoi che dovrà decidere se quella sirena sarà l’inizio di una nuova stagione politica o, come io credo, segnerà la fine del tempo , l’uscita dalla “fabbrica” delle buone intenzioni, della sua progettualità politica.
Io non so cosa Bartoli deciderà, né, diversamente da “futuro e sindaco” Bartolomei, mi permetto di indicargli la via. Sono troppo rispettoso infatti dell’altrui libertà e dell’altrui intelligenza per erigermi a suggeritore. Sono certo però che il Professore, a cui si deve riconoscere la quotidiana consuetudine con la “speculazione” filosofica, la dimestichezza con la logica che presiede e regola il diritto, non avrà punta difficoltà a scorgere nell’insidioso richiamo del Bartolomei la pietra tombale del proprio avvenire politico.
Va da sé, infatti, che qualsiasi “nuovo” progetto politico a-partitico (e qui di progetti oltre le solite chiacchiere fumose e inconcludenti non se ne vedono), che si contrapponga in qualche modo ad altri e si proponga di conquistare, come non può esimersi da fare, una parte di consensi –piccola o grande che sia – è di fatto un nuovo Partito. A meno che, camuffato da partito per il bene di tutti, non si intenda realizzare un assieme – accozzaglia – di soggetti che perseguono meri fini di potere, ovvero l’interesse di pochi.
Io, per esperienza, posso dire che i Partiti, anche locali, non si improvvisano. Ovvero possono farsi delle più o meno allegre brigate, possono farsi delle più o meno efficienti (e divertenti) armate Brancaleone, che però, per lo più, partono, ma non arrivano da nessuna parte. Al massimo, nella migliore delle ipotesi, possono durare una stagione.
Ora, il candidato –forse– “futuro e sindaco”, Bartolomei  attribuisce a se stesso e al Professor Bartoli le medesime sensibilità, gli stessi “pensieri per le necessità, i bisogni e le aspettative della Città e dei nostri concittadini – che a suo dire, molto enfaticamente e con vieta retorica – rappresentano la stella polare del –loro – agire politico quotidiano”, e continua, con altrettanto scontato fraseggio da navigato filodrammatico, il tentativo di seduzione:  i cittadini sono stanchi del teatrino della vecchia politica, e non credono più alle soluzioni date con i medesimi criteri e dagli stessi soggetti che prima hanno creato i problemi e che adesso vorrebbero risolverli.” La qual cosa mi rende certo – ed io per principio non sono certo di nulla – che Bartoli, qualsiasi progetto abbia in mente, non s’imbarcherà senz’altro in avventure estemporanee con Bartolomei. Questo principalmente perché se, come lo stesso Bartolomei gli riconosce, egli ha sinceri pensieri per le necessità, i bisogni e le aspettative della Città e dei nostri concittadini” da uomo attento e intelligente qual è saprà benissimo che l’unico modo sicuro per non rispondere a quei bisogni è ascoltare o dar corso a iniziative proposte da Bartolomei & C.
u.s.
Nell’illustrazione: "Il Selvaggio", Mino Maccari,  Chi non porta anello al dito alle cariche sia bandito


[i]    Bartolomei è attualmente capogruppo in Consiglio comunale del Terzo Polo a Pistoia
[ii]  Bartoli è recentemente arrivato secondo alle primarie di coalizione del Centrosinistra

giovedì 8 marzo 2012

Se ci sei, batti un colpo



E’ amaro constatare che molto spesso si accede alla Politica con l’intenzione di  realizzare il proprio interesse personale. L’interesse della Comunità, che è la ragione fondamentale della Politica medesima, da alcuni – sono troppo buono? – manco è considerato. Né per costoro vi è nessun moto di orgoglio nell’essere “eletti”, nell’essere nelle Istituzioni a rappresentare i 1500-2000 concittadini che hanno espresso quel  voto (perché più o meno tanti voti occorrono ad eleggere un consigliere comunale, almeno in un comune come Pistoia). Altra cosa sono infatti le cosiddette preferenze personali, che vengono espresse per discriminare all’interno di una lista quel consigliere invece dell’altro.
Ora queste faccenduole, che dovrebbero essere note a tutti, di una banalità che a rammentarle quasi provo vergogna, pare che a certi personaggi non siano note, dato che agiscono in barba a quel patto di lealtà che dovrebbe intercorrere – ancorché non scritto, ma che si stipula quando ci si candida con un partito e quando si va a chiedere una preferenza – fra chi ti chiede di rappresentare i suoi interessi e chi quegli interessi deve difendere e rappresentare. Il che, molto semplicemente, sarebbe come dire:  “S’è mandato a comprarci lo zucchero e ha riportato il salame a quegl’altri!”
Ma l’io ipertrofico fa loro immaginare che il mondo intero sia lì, al loro cospetto, per rinnovare ancora una volta, per l’ennesima volta, attraverso il rituale del voto, il segno dell’altrui sudditanza intellettuale. Allora il corpo elettorale e la comunità non sono più visti come fine dell’azione politica ma decadono a meri strumenti della propria affermazione, del proprio moto personale verso gli interessi personali da realizzare.
Così è che assistiamo al transito di alcuni da un partito all’altro con una leggerezza che lascerebbe addirittura sbigottiti, se non vi fossimo oramai abituati, se non la leggessimo come un triste e inevitabile segno dei tempi, dei costumi che questa Repubblica ha da tempo fatti propri. Ovvero, forse come dice il Machiavelli uno tristo cittadino non può male operare in una repubblica che non sia corrotta. E la corruzione, nell’accezione più estesa del termine, ha intossicato ogni cosa a cominciare dai costumi. Siamo così abituati che non ci viene in mente che potremmo cominciare a tirare costoro ogni sorta di ortaggi fradici e uova marce.  Anzi, nel qual caso, paradossalmente, non meraviglierebbe punto ritrovarsi in manette.  E così, per codesto malcostume che imperversa, talora maggioranza diviene minoranza e viceversa, tanto che parrebbe opera di Autolico (Ovidio, Met., XI, 313-314) e il principio stesso della democrazia è travolto, dato che comanda chi ha perso.
Lo spettacolo è gratuito, non si paga il biglietto ma lo sconforto è assicurato.
Ci sono giustificazioni? No. Se uno non è più d’accordo, ha a propria disposizione uno strumento formidabile: le dimissioni. Ma codesto strumento non è più valido, non è più considerabile quando a monte non c’è il patto, quando i concetti/valori di fedeltà, lealtà, correttezza, serietà non sono manco presi in considerazione, quando, come scrivevo in apertura, l’impulso al timone è dato dall’interesse.
u.s.
Illustrazione: Mino Maccari, "Se ci sei, batti un colpo",
Il Selvaggio, 15 novembre 1931, anno VIII, n° 18, p. 69.

sabato 3 marzo 2012

Il diavolo insegna...





Si dice: “Il diavolo insegna a fare le pentole ma non i coperchi”. E’ vero – io ne sono convinto –, molto probabilmente lo constateremo anche all’indomani della prossima tornata amministrativa del 6 e 7 maggio.
Il clima di antipolitica – anche artatamente, quotidianamente attizzato da una scandalosa speculazione giornalistica – generato dalla legittima indignazione contro una classe dirigente talora inadeguata, prevalentemente preoccupata della difesa dei propri privilegi di casta, trasversalmente attenta a difendere e reiterare le rendite di posizione, che in certi casi sono state “miracolosamente” acquisite da personaggi che con la politica non avevano e non hanno nulla a che fare, ha prodotto e tuttora va producendo la diaspora dei partiti tradizionali.
È infatti sotto gli occhi di tutti, ed avvertito perfino nell’aria che si respira, il disagio dell’elettorato per la politica. Disagio che una intera classe dirigente ha contribuito a generare, in un quadro di per sé assolutamente negativo e ulteriormente aggravato dagli effetti della crisi economica, con l’abdicazione delle proprie prerogative a favore del cosiddetto governo dei tecnici. Il governo dei tecnici, per parte sua, sostenuto di fatto da una Große Koalition, facendo di necessità virtù, ha intrapreso l’opera di “risanamento” facendone ricadere i costi prevalentemente sulle classi meno abbienti e il ceto medio, ed ha appesantito ulteriormente, in questo modo, il malcontento dell’elettorato – grosso – che prima dicevo.
Ecco quindi che la diaspora va assumendo caratteri marcati (li si leggono con chiarezza nella proliferazione delle liste civiche e nella frammentazione in “schegge” di partiti e partitini tradizionali). Spesso gli elementi catalizzatori sono individuabili in personaggi  delusi, malcontenti, scontenti cronici di quel che c’è, sempre alla ricerca di una realtà o di inesistenti organizzazioni partitiche fatte a loro immagine e somiglianza; ipercritici e iper-polemici di professione, per tutto, dappertutto, personaggi insomma sempre alla ricerca d’autore – e di regista –, che quasi sempre hanno all’attivo il transito attraverso differenti formazioni politiche.
Ecco, si presenta loro il momento aspettato: attraversati ed esauriti tutti i partiti del loro orizzonte culturale, come prima osservavo, si inventano ora una molteplicità di liste civiche e pseudo-civiche, e con esse, e attraverso ciascuna di esse, ciascuno, solo o in aggregazione, onesto e ingenuo che sia – disonesto,  furbetto o ricattatore che sia: ma lo scopriremo solo ai turni di ballottaggio o agli “accomodamenti” di fine marzo – dà l’assalto, in proprio o “per conto di”, alle diligenze locali. (Per ora! – pensano –).
Ma il fattore importante, eppure punto considerato di tutta la faccenda, risiede proprio nell’effetto reale, nei fatti che genera, ovvero nella molteplicità delle liste, nell’eterogeneo aggregarsi. Le liste, le listine –spesso figlie di nessuno, vere o fasulle – proliferano; moltissima gente onesta getta il proprio cuore oltre l’ostacolo in un gran darsi daffare, nell’estremo tentativo di contare, di far sentire la propria voce in un mondo che sembra inesorabilmente sfasciarsi. Ma tutto codesto fermento genera batteri – o come dicevo prima è catalizzato da batteri –, e le ultime tre categorie di Sciascia (ominicchi, ruffiani, quacquaraquà) nel “casino” generale imperversano e ordiscono i loro ambiziosi progetti – si fa per dire –. Il diavolo, però, guarda caso…
Io infatti sono convinto che tutto questo genererà una reazione immediata. Una parte dell’elettorato, l’assoluta maggioranza, quella gran parte che non ha punta dimestichezza con le sofisticherie della politica, quella parte che segue prevalentemente l’istinto e la pancia, che ha bisogno di accendere la “tv” con la certezza di trovarci Gerry Scotti o la Maria De Filippi, Affari Tuoi o il Grande Fratello – ecco, appunto quella –, si troverà assolutamente disorientata, e come il turista straniero o il gitante di parrocchia in visita a San Pietro, cercherà, magari sollevandosi sulle punte dei piedi per meglio vedere, l’ombrellino colorato o la bandierina rassicurante della guida. Quei riferimenti, logori e bruttini, forse, ma tutto sommato rassicuranti, costituiranno, appunto, i simboli di partito tradizionali in tanta confusione. E i partiti recupereranno immediatamente perché la gente cerca sicurezza e stabilità. Sarà loro sufficiente presentarsi all’elettorato con candidati credibili, perché, in specie nelle elezioni amministrative, per il candidato e l'elettorato il confronto è diretto, immediato.
u.s.