mercoledì 28 marzo 2012

In braghe di tela



Caro Prof. Bartoli,
lei ha deciso di ritirarsi. Tutto sommato ha preso la decisione giusta. Perché, meglio ora che più avanti, quando l’acqua nel guado sarebbe stata ancora più alta. E, benché, la stagione sia mite, lasciare gli amici, i sostenitori, gli iscritti, insomma tutti quelli che hanno creduto in lei, in braghe di tela, ancora più lontani dalla riva, sarebbe stato certamente peggiore.
“Tengo famiglia”, in fondo, ha prevalso. Il vecchio, logoro, triste, motto nazionale di Flaiano (o Longanesi, chissà!) ha colpito ancora. Personalmente sono indifferente, forse un po’ deluso, deluso da Lei e dispiaciuto perché comprendo l’amarezza di quanti l’avevano seguito fiduciosi, e che ora si sentono certo traditi. Mollati in mezzo alla corrente. Episodi analoghi, nella storia, nella cronaca e perfino nelle assemblee di condominio, ce ne sono tanti. In buona sostanza anche lei ha fatto come certi conquistadores spagnoli, che bruciavano le navi. Ma a differenza di loro, che andavano avanti, a qualsiasi prezzo, su qualsiasi terreno e difficoltà, lei ha preferito fare, perdonerà, il gesto dell’ombrello.

Il fine politico Bartolomei, “l’uomo delle stelle”, che la metteva al centro delle sue “sottili fumisterie politologiche”, che la blandiva cercando di sedurla con la storiella “dei nuovi scenari che Lei andava disegnando”, ha confermato ancora una volta la superficialità della sua “scienza”, l’approssimazione della sua analisi. Ha dimostrato la fragilità di un “pensiero” politico incapace di distinguere fra realtà e desiderio, la debolezza di una teoria incapace di prefigurare che solo pochi, forse, l’avrebbero seguita in quelle” lande” e che, nel qual caso, il fatidico gesto – dell’ombrello, intendo – sarebbe stato pressoché corale, simultaneo, prelusivo di un vuoto presente e futuro. Personalmente la reputo intellettualmente vivace, acuto, ed ero quindi sicuro che lei non avrebbe assecondato l’apprendista stregone. Già ritenevo una forzatura – per la verità poco comprensibile – il suo strappo, conseguente alla chiusura dimostrata da Bertinelli nei suoi confronti. Considero, infatti, contrario alle esigenze del governare “sicuri” ogni sorta di dualismo, ancor più pericoloso se di livello, se sostenuto da un modello alternativo e confortato da un apprezzabile seguito.

Forse, Professore, s’è fatto prendere la mano dal consenso, dalla sincerità vera dei sostenitori, degli amici, degli estimatori, e non ha subito ben valutato dove stava andando a parare; forse, Professore, il momento giusto per fare un passo addietro era quello dell’assemblea, dove, invece, a quel che rammento di aver letto, lei ha incendiato animi già pronti all’innesco, parlando “di una guerra senza esclusione di colpi”. Ma ognuno decide ciò che vuole e nel momento che più ritiene opportuno. Solo l’autore conosce il perché e il per come. E qui nessuno rilascia patenti. Già, Antonio Nardi, in http://blog.studenti.it/domenicalaura/le-contraddizioni-del-professore/, ha colto le sue contraddizioni: io, condividendone il pensiero, non entrerò nel merito.

Posso ricordarLe, però, che quando si crede in qualcosa, quando si è animati da fede sincera nei valori che si assumono a modello, si può andare sicuri, con fermezza, per la propria strada. Anche se si perdono amici (quelli che amici veri non sono); anche se pian piano ci si trova da soli; anche se ogni giorno si è presi dal dubbio su ciò che si fa, sui costi che si fanno pagare ai propri cari; anche quando non c’è democrazia o liberaldemocrazia che lo consenta, e non c’è una lira, la speranza di riconoscimenti, non si parli di una poltrona!
La nostra storia è piena di esempi, piccoli e grandi; anche piccoli piccoli, e le vie e le piazze della nostra città spesso ne portano i nomi, senza tanto dover andare lontano.

Cordialmente,
u.s.

Immagine:
H. Daumier, Un abus de confiance, 1842, litografia, particolare.