Io non sono un analista di dati elettorali, né m’intendo di statistica, di demografia ecc. Mi ritengo solo una persona, come molte, appassionata alla Politica e, quindi, inevitabilmente, interessato alle cose che ci circondano, le quali, tutte, con la politica in un modo o nell’altro hanno a che fare. Come tutti, immagino, avverto il desiderio di comprendere cosa accadrà nel futuro, prossimo e meno prossimo, per questo, invece di interpretare il volo degli uccelli e la disposizione degli ossicini gettati al suolo, come facevano un tempo, tento di interpretare i fatti. Più o meno grossolanamente. Mi si vorrà perdonare.
Mi domando: dove potrà portarci (intendo noi, la nostra democrazia) l’eccessivo frazionamento del quadro politico? La proliferazione delle liste elettorali per le prossime amministrative del 6-7 maggio è un fatto.
Riusciranno tutte a raccogliere le firme necessarie per essere presentate? Non so dirlo. Fino a che punto continuerà, prima di arrestarsi, il processo di frammentazione del quadro politico? E l’elettorato, asseconderà questa “irragionevole” parcellizzazione? E dopo, cosa potrà accadere?
Leggo: Lucca “Dinelli si candida e porta il numero degli aspiranti sindaco a quindici”, http://www.loschermo.it/articoli/view/41800, ma le liste, quante sono? Certo molte di più: leggendo l’articolo se ne può cogliere il numero fra le righe (ovviamente di Pistoia per il momento preferisco non parlare). Ho controllato i dati elettorali: Lucca, amministrative 2007: affluenza al primo turno (quello in cui si eleggono i consiglieri comunali) 67,2%. Ora, anche molto all’ingrosso, considerando che il Testo Unico degli Enti Locali (Tuel) stabilisce (art. 73, comma 7) che non è ammesso alla ripartizione dei seggi chi non supera il 3%, mi domando: quante potranno essere le liste che non riusciranno a raggiungere quella fatidica soglia? Pur tuttavia, di quanto eroderanno, assieme alle schede bianche e le nulle, posto che la partecipazione al voto si mantenga al 67,2%, il “monte” dei voti utili a concorrere alla ripartizione dei seggi? Sulla partecipazione al voto, infatti, nutro seri dubbi che la frammentazione possa far aumentare nell’elettorato la fiducia, dato che parrebbe proprio un prodotto della sfiducia medesima, che ha messo capo al “fai da te”.Quale sarà, infine, la percentuale dei voti che determinerà la maggioranza? Il sistema è e resta rappresentativo. Ma, sotto una certa soglia, rappresentativo di cosa?
Un “amico”– un artista, piccolo editore, uomo insomma di livello culturale decisamente apprezzabile – , stamattina, in un occasionale scambio di battute sulle cose della nostra città, mi ha appalesato, con molto garbo, oltre al disagio per l’eccessiva lunghezza dei miei post, la sensazione di una mia poca democraticità (è un sostenitore di Bartoli). Che si coglierebbe, secondo lui, in quello che vado scrivendo. Non saprei dire se ha ragione. Difficile giudicare se stessi con scale di valori e di giudizio che non ci appartengono – anzi, che non si conoscono affatto, dato che appartengono alla cultura di altri –. Posso solo dire che resto molto perplesso, quando mi pare di cogliere, nella realtà di tutti i giorni, i caratteri di un inarrestabile processo degenerativo che, a mio vedere, non porta a nulla. A nulla di buono, intendo. Quando leggo infatti di quindici candidati a sindaco per una sola città, per un solo Comune, mi viene da rammentare che ciascuno di loro è tenuto dalla legge a presentarsi con un programma elettorale. Quindi in teoria, a Lucca – ma riguarda solo Lucca? – potremmo avere 15 candidati con altrettanti differenti progetti di città e di Comune. Saranno così apprezzabili le differenze contenute in quei programmi da giustificare – seriamente – altrettante volontà di affermazione elettorale? O, ad un certo punto, la suddivisione in una scala di grigi contenuta fra il bianco e il nero, rende le differenze – anche senza arrivare a gamma infinito –, pressoché irrilevanti? O si tratta, se vogliamo chiamarlo col suo nome, di mero velleitarismo?
Io credo infatti che esso sia il prodotto di una società, che anche grazie all’egualitarismo imbecille propalato a man salva a partire dagli anni ’70, ha perduto il senso della misura, ha smarrito la capacità di cogliere il valore reale delle persone e riconoscere in esso quella gerarchia del merito, della competenza, senza l’apprezzamento della quale nel sistema sociale tutto finisce in “vacca”. È, mio caro amico, la conseguenza – anche – della disgregazione dei partiti tradizionali, i quali certamente potevano essere al loro interno poco democratici, potevano essere senz’altro affetti dalle patologie che Tangentopoli rese evidenti e che tuttora, purtroppo, permangono, epperò risultavano, comunque, strumenti formidabili per la formazione politica – e amministrativa – della cosiddetta classe dirigente. Questione che oggi, il sistema oligarchico degli “eletti”, preferisce ignorare, avendo adottato il meccanismo della cooptazione, prevalentemente di personaggi di dubbio valore e spessore. Primo, perché da essi nulla hanno da temere (certo, non, esser fatti fuori da chi è più imbecille di loro – o ricattabile?–). Secondo, perché il meccanismo si ripete a caduta (di livello, intendo) cosicché, senza il ricambio apicale dei “migliori”, man mano che questi vengono meno, tutti avanzano di una posizione, in questo modo la mediocrità aumenta e si espande – penso anche agli incarichi, alle nomine pubbliche e via discorrendo in materia –, fino al punto in cui siamo, dove le conseguenze di ciò sono sotto gli occhi di tutti. E tutti le stiamo pagando.
Credo, amico mio, che avvertire di pericoli, storture e manifestare timore per i rischi che stiamo correndo sia un modo per difendere la democrazia. Ma certo potrei sbagliare.
Perdonerai se, ancora, troppo mi son dilungato.
u.s.
L'immagine: Jacques Callot