mercoledì 29 febbraio 2012

“futuro e sindaco” e il caso “M”





Caro Andrea,
tu sai quanto è successo in Consiglio comunale a Pistoia il 27 scorso. Comprendi bene, perciò, la mia esigenza di scrivere dell’accaduto e la pretestuosità, quindi, di questa lettera nella quale, peraltro, scompariranno i nomi: inutili per chi già li conosce, come te, altrettanto inutili per chi si interessa solo dei fatti o delle considerazioni che ispirano, certo non degli attori in “commedia”. E neppure intendo andare ad impelagarmi nei retroscena, che hanno sempre, anch’essi, un regista, forse la loro brava orchestrina con direttore, e ci trovi attori, figuranti, magari anche un navigato suggeritore – personaggio non secondario –. Brutto posto, amico mio, il retroscena: ci sono corde, botole che paiono trabocchetti, in alto i contrappesi delle scene, dei sipari. Poca luce. Devi stare zitto o parlare molto sommessamente e muoverti con circospezione senza mai farti vedere dal pubblico.
Ma veniamo al fatto. Il Consigliere – “futuro e sindaco” – ha pensato bene, per dar corso ai propri disegni, di ridurre il numero dei consiglieri su cui poggiava la maggioranza sulla base di una condanna penale riportata dal consigliere “M”, che risulterebbe esser stata confermata in appello. Dall’altra parte il consigliere “M”, lì presente, suo malgrado, si è ritrovato a fare l’intangibile bandiera dei “garantisti”, dei ferrei difensori delle regole e dei ruoli istituzionali e delle specifiche competenze di ciascun organo. Tutto questo almeno qui a Pistoia, ma son sempre gli stessi che, guarda caso la coerenza, pochi chilometri più in là, dove si scambiano le parti in commedia, vestono panni d’inflessibili “colpevolisti”, per i quali le garanzie della legge non contano più.
Cosicché il malcapitato – ho pensato in un lampo grottesco mentre ascoltavo –, se prendessero a tirarlo fisicamente chi da una parte chi dall’altra, chi per tenercelo chi per levarcelo, si troverebbe staccate le braccia e, nella foga, magari potrebbe buscarsi anche uno scapaccione.
Ora, caro Andrea, al di là del grottesco, al di là di ciò che può essere legittimo, formalmente corretto, legalmente inoppugnabile, io mi domando, è moralmente lecito, aggravare ulteriormente la pena mettendo alla gogna mediatica una persona, la quale per i reati che ha compiuto (o potrebbe, dato che c’è ancora un grado di giudizio) ha già subito una condanna che un Giudice ha ritenuto congrua? Ovvero strumentalizzarne in senso opposto la vicenda umana solo per assecondare il proprio tornaconto politico? Quanta pelliccia occorre avere sullo stomaco per dire a una persona che ti sta seduta accanto che non dovrebbe essere lì perché tutti sanno – e se non lo sanno glielo stai dicendo tu – che è stato condannato? Che sei da cacciare dal coro? Oppure, all’opposto, costringerlo a starsene lì, sorta di San Sebastiano a raccogliere gli “strali oltraggiosi” di chi ha fatto del proprio tornaconto “politico” l’unica bandiera?
Io caro amico, che ascoltavo la seduta per radio, ho provato vergogna a sentire argomentare e “infierire” a quel modo su un poveruomo, che a detta del “futuro e sindaco” doveva già esser stato cacciato. Ho provato vergogna a sentire che la dignità umana poteva esser piegata cinicamente, proditoriamente, alle esigenze di una bassa macelleria politica, calpestata dalla caccia al voto, utilizzata per ottenere un consenso che invece, ricercato in questo modo, dovrebbe mutarsi in unanime disgusto, in assoluta riprovazione. Ma non di meno, credimi, mi sento indulgente nei confronti di chi, fra gli amici sedicenti, da mesi sta cercando il modo di utilizzare le disgrazie personali di un consigliere comunale per realizzare strategie o vendette di palazzo.
Ecco, si torna a questioni etiche. Il fine può davvero giustificare ogni mezzo? Oppure quel rispetto per l’altro che ciascuno dovrebbe avvertire sacro in sé, fin nel profondo, dovrebbe trattenere? E un sussulto della coscienza non dovrebbe frenare la parola che va per sfuggire un attimo prima che sia pronunziata? E l’altro non rappresenta, infatti, quell’intera comunità umana il cui bene la Politica si propone di realizzare? E non vale di più “perdere” per far vincere quel sacro – così dovrebbe essere inteso il rispetto dell’altro – che è in noi? Ovviamente, caro Andrea, non in tutti noi. Purtroppo!
Un caro saluto,