martedì 4 dicembre 2012

O andar via e vivere o restar qui e morire!




Potrei cominciare questo post in mille modi diversi. Pensavo di essere garbato, di citare il Romeo e Giulietta di Shakespeare (quando Romeo dice che deve andare, che restare significa morire), ma mi accorgo che un linguaggio più immediato meglio si addice a una sorta di appello, che tutti dovrebbero intendere senza sofisticherie, del tipo: “è l’ora di levare l’olio dai fiaschi!”, anche se, a dire certe cose, c’è subito da essere paragonati a Bersani. Che Dio me ne guardi! Dove voglio andare a parare? E’ presto detto. Io non so né posso dire che cosa farà Giorgia Meloni o altri, ma occorre che qualcuno, che ancora non si è bevuto tutto il cervello, si decida – presto, prestissimo, subito – a dar vita ad un nuovo soggetto politico di Destra, che torni ad occupare lo spazio politico lasciato vacante da Alleanza Nazionale, adottandone principi e finalità programmatiche. Insomma: resettare e ricominciare da dove eravamo rimasti quando “l’innominabile” definì “comiche finali” le affermazioni dal “predellino”.



Io, come al solito, sono per parlare chiaro: chi avesse in animo una simile intrapresa dovrebbe: far fuori (politicamente intendo, ma anche elettoralmente) tutta la vecchia nomenclatura. I nomi? Gasparri, La Russa, Matteoli e compagnia cantando, che sono come la cicuta, possono oramai portare a morte sicura qualsivoglia iniziativa che si voglia intendere come politicamente seria. Occorre puntare tutto, o quasi, su giovani (intendo al di sotto dei quarantacinque/cinquant’anni), credibili, seri, onesti, puliti. Superare – è tassativo – il frazionamento correntizio che aveva ridotto le potenzialità esterne di A.N. costringendo il partito ad un esiziale conflitto interno, al logoramento delle energie migliori. Del resto, l’interesse nazionale richiede che chi intende occuparsi della cosa pubblica, anche attraverso l’impegno e la militanza politica, sia oggi tutto proiettato verso il bene comune. Non è possibile, infatti, curare il bene della intera comunità quando non ci si dimostra in grado di curare al meglio il bene della propria parte (ovviamente per bene non intendo riempirsi le tasche col denaro di tutti né intendere la militanza come un modo per sistemarsi).



La vittoria di Pierluigi Bersani, e il conseguente spostamento a sinistra dell’asse che attraverso le elezioni si va predisponendo a governare l’Italia, rende più facile la ricerca del consenso di quanti intendano seriamente operare ad un rinnovamento politico, morale e civile della Nazione, a quanti intendano riconquistare lo spazio ed il ruolo che, anche economicamente, ci compete nello scacchiere internazionale – e non  alludo certo al terzo mondo dove questi stanno facendo di tutto per portarci. I ceti medi, tartassati, sacrificati, vessati in ogni modo, non ne possono più, e, del resto, sconfitto Renzi, a cui in parte avevano guardato fiduciosi, non intendono finire fra le grinfie dell’apparato che potrebbe vincere le prossime elezioni e continuare, a man salva, l’opera di estorsione già avviata da Monti, Fornero & C. Né, certo, intendono mettersi ancora una volta nelle inaffidabili mani del Cavaliere o dei suoi “fantocci”, spudoratamente da torte in faccia.
Qui ogni giorno che passa, codesta “allegra brigata” – si fa per dire – inventa un nuovo modo per perdere altri pezzi, per regalare altro consenso a Grillo, al monte delle schede bianche o nulle, al numero sempre più alto di quanti preferiscono non andare a votare. Non solo a me, certo, capita ogni giorno di incontrare persone che, con sguardo smarrito, mi dicono: “Ma per chi si vota?!”.



Il partito unico del centro-destra è una sciocchezza. Lo era fino dai presupposti, dato che il centrodestra non esiste. Nemmeno in Parlamento è possibile trovare dei posti per sedercisi. C’è il Centro e c’è la Destra: gruppi distinti che possono trovare accordi sia come cartello elettorale sia sul piano programmatico, ma che inevitabilmente perseguono finalità differenti. Altrimenti sarebbero una cosa sola. Impossibile, come i fatti avevano già dimostrato diversificando ed articolando variamente il consenso: vuoi ad A.N., vuoi a F.I., vuoi alla Lega, all’UDC e via discorrendo. Formazioni politiche differenti che in questo benedetto Paese  – dal Medioevo in qua – rispondono a sensibilità ed aspettative differenti. Credo che si debba solo prendere atto. Che non vi sia niente da fare. D’altra parte, “per forza, non si fa neppure l’aceto”, diceva mia suocera, buonanima. Così non ha senso. La forza di ciascuno – sempre – risiede nella sua originalità, nella coerenza con i propri principi, con i propri modelli culturali.



La fortuna di codesta nuova formazione? L’innominabile è politicamente finito. Molti gli andarono dietro, in FLI, non per lui ma per l’impossibilità di stare dentro al Pdl. Costoro non attendono altro che un partito come A.N. sia rifondato. Tutto l’elettorato che si trovava nello spazio vuoto lasciato libero a destra e che si attestò sulla Lega… Quanti per disgusto e disperazione hanno guardato a Grillo e, ancora, gli ultimi, i delusi del PDL – che crescono ogni giorno: moltissime persone serie, serissime, corrette, provenienti da altri parti della Prima repubblica che possono condividere un serio progetto politico di riscatto nazionale.
E poi, ve lo devo dire? Meglio (nella peggiore delle ipotesi) un eventuale 3–4% da soli che il 1520% in mala compagnia!
I tempi? C’è, di fatto, una macchina organizzativa che può affrontare una campagna elettorale anche in due mesi. Basta fare un fischio! Vi pare poco?
u.s.

Immagini: Félicien Rops