giovedì 17 maggio 2012

Pippo non lo sa



Questo post non può iniziare che formulando al nuovo Sindaco, Samuele Bertinelli, gli auguri di un proficuo lavoro. Unita agli auguri la speranza che, forte del risultato conseguito, sappia essere veramente il Sindaco di tutti, e non solo, com’è accaduto negli oltre sessant’anni di amministrazione della sinistra, di una parte. Addirittura, in essa, di interessi circoscritti ad un ristretto coté di compagni e amici. Del resto da uomo colto e politicamente intelligente quale egli è, sa benissimo che il suo 59%, rapportato a 57% dei votanti, scende ad un “pericoloso” 31,71% degli aventi diritto. Una cifra percentuale, che dovrebbe risultare interessante ad un Centro-destra motivato e desideroso di riscatto – ma sull’argomento tornerò più avanti –. D’altra parte la vittoria di Bertinelli c’è stata, e ben più della vittoria numerica conta quella politica. Ha cancellato i “competitors” delle primarie, che fino all’ultima ora facevano grancassa, “asfaltando” letteralmente e definitivamente  –immagino – Bartoli e “ingessando” – pare – nel ruolo burocratico-istituzionale della presidenza consiliare Niccolai: una disattivazione politica, questa, che spiega come, con un numero di preferenze personali relativamente basso (183), sia possibile accedere ad una carica tanto prestigiosa (ma chiarisce al contempo come Niccolai, chiusa la parentesi delle primarie, abbia rinunciato ad esercitare un ruolo politico attivo in città). Le disattivazioni “magistrali” non finiscono qui. La cooptazione della signora Becheri – che pare sia stata sostenuta elettoralmente da Bartoli, il cui apporto l’avrebbe resa prima della lista –, ha consentito il “ripescaggio” di Betti, con l’impegno – immagino –, che io almeno “formalmente” avrei preteso, di farne un effettivo membro di maggioranza, diversamente dalla “spina nel fianco” del precedente mandato. Del resto la signora Becheri, neofita dell’Istituzione, “fragilmente” inserita in una giunta così “centralizzata”, non potrà che rivelarsi fedelissima al Sindaco.
Ma veniamo al Centro-destra (cosiddetto). Il risultato è tutt’altro che esaltante. I numeri parlano da soli, come sempre, con chiarezza disarmante. Poi certo si possono interpretare, e ciascuno come sempre tira la coperta – corta – dalla propria parte, per coprirsi i piedi o più spesso qualcos’altro. Tant’è! Chi non avesse sott’occhio codesti numeri può accedervi qui (http://elezioni.comune.pistoia.it/modules.php). Personalmente rispondendo a chi, prima che si aprissero le urne, mi chiedeva un pronostico, rispondevo che sarei stato contento di “portare a casa” sei consiglieri comunali più il candidato sindaco. Ne abbiamo invece sei in tutto. Così è.
Detto questo si guarda al futuro. Prima di tutto a quell’ 11% di persone che non sono andate a votare, poi si guarda anche a quel 10% che ha intesto manifestare la propria rabbia preferendo la lista di Grillo, ma più si deve guardare al frazionamento, all’incapacità dei partiti e partitini, liste, listine, listarelle che non hanno saputo aggregarsi in una proposta univoca, chiara, credibile. Insomma, si pretende di candidarsi a contemperare i complessi interessi dei nostri concittadini, ma non si è preliminarmente in grado di contemperare in una proposta credibile gli interessi che si articolano in una parte. Questo l’elettorato non riesce a spiegarselo e, una parte di questo, malgrado sia arcistufa della pesante egemonia della sinistra, rifiuta di perdere il proprio tempo nell’inutile rito del voto.
Ci sono cinque anni di tempo perché i “capponi di Renzo” trovino il modo di mettersi d’accordo. Cinque anni di tempo per comprendere che ciascuno deve rinunziare a qualcosa di proprio (comprese le piccole, miserrime megalomanie) per realizzare l’interesse generale. Cinque anni di tempo per predisporre un programma comune (di massima) e individuare chi fra tutti i candidabili, meglio di tutti, possa farsi garante della realizzazione di quel programma, rappresentando gli interessi “comuni” del Centro-destra ma principalmente, quelli dell’intera comunità senza il cui consenso, senza il cui voto ( e devono essere riportati a votare riaccendendo la fiducia nel cambiamento) non si va da nessuna parte. Concetti politicamente elementari, questi, che per l’ennesima volta sono scritti nei numeri, nell’acqua gelata in faccia ai sognanti che, fingendo di non accorgersene o che non sia accaduto, si girano di là e preferiscono – pare – continuare il proprio sogno ignari che il sole è già alto.
u.s.
Immagine:
H. Daumier, Le strabisme, 1841, Litografia

Per il titolo:
Silvana Fioresi & Trio Lescano sing " Pippo non lo Sa" ( Pippo doesn't know it) by Kramer- Panzeri-Rastelli 1940, Orchestra Pippo Barzizza

domenica 13 maggio 2012

Edoardo Salvi

Avviamento alla solitudine
Biblioteca San Giorgio, fino al 31/5*


Verrebbe facile, in quella selva di idee, di ricordi, di livelli della conoscenza, che affiorano in ogni opera di Edoardo Salvi, farsi prendere la mano, anzi lasciare briglia sciolta al piacere di scrivere e raccontare, e cominciare a scavare gli strati, proprio come fanno certi archeologi, che procedono scientificamente piantando picchetti e tirando cordicelle. E verrebbe facile, a ogni strato, all’emergere di ogni più piccolo oggetto della memoria, fare la propria bella figura rammentando ora certe illustrazioni strapaesane di Maccari, ora i “disperati” di Viani, ora Boccioni o la cultura mitteleuropea con Klimt, Schiele, Dix o Kokoschka (senza dimenticare le Cattive Madri o L’Angelo della Vita di Segantini – che in qualche modo paiono ammonirmi perché ricordi pure loro, forse per i seracchi azzurrognoli che fanno l’ambiente a improbabili femmine fluttuanti e brunastre –), o, ancora, certe “eleganze” del ’400 senese o del primo ottocento giapponese – che ciascuno oramai pretende di intravedere in ogni acquatico spumeggiare –.


Nel lavoro di Salvi ci sono, sì, quindi, una molteplicità di elementi, ma la forte personalità che li condensa, esprimendoli, è assolutamente genuina. Edoardo Salvi non cita (se non quando illustra o inventa memorabili scenografie teatrali), non indulge né si compiace della propria cultura, che si è “nascosta” in profondità connaturandosi. Né si coglie, fuori dalle opere, se non molto difficilmente, la spiccata originalità dell’artista, perché è ben protetta con abiti accuratamente normali, che lo rendono difficilmente accessibile a chiunque possa turbarne la “solitudine”. Per contro il suo lavoro, i suoi temi, le sue invenzioni formali potrebbero emblematizzare il concetto stesso di originalità, – per intendersi: niente a che vedere con le trovatine, da divertissement intellettualistico, di certi “pupattolari” impotenti o altri enfatici piegatori di lamiere arrugginite –.


Edoardo Salvi è originale sempre: quando pensa, scrive, dipinge. A rigore, malgrado il “tema”, che fa da perno al lavoro, possa essere unificante o possa esserlo anche la tecnica (adesso volutamente antipittorica), difficilmente riesci a trovare un collegamento fra un’opera e l’altra. Ciascuna è un mondo a parte (risponde a un diverso pensiero, a un nuovo stato umorale o a un differente sentimento), che aderisce, portandola in superficie, allo strato della coscienza, ad una oscura esigenza interiore. È costì, in interiore, che il lavoro trova il suo ordine (quel segreto numero di pagina da aggiungere al proprio Almanacco Perpetuo), che guida l’artista fino all’esaurimento del lavoro, per poi riprendere ex novo, con impennate di genialità inventiva, ora nella logorante ricerca della forma, ora nell’impeccabile composizione in un nuovo lavoro. Sembra, quasi sempre, che la ricerca, affidata alla linea che disegna e accarezza plasticamente oggetti e figure, ora definendo “tasselli” che “precipitano” in fluide strutture coerenti, o talvolta contrapposte, sia quasi ossessiva. Che risponda, cioè, ad una impetuosa, prepotente esigenza di armonia, dell’ordine che tutte le cose debbono trovare perché la tensione, l’affanno possano placarsi. Nei risultati, codesta forza, si avverte con chiarezza, parrebbe quasi animata da un vigore creativo di stampo romantico, se proprio la tecnica adottata (Pochoir), che richiede per ogni più piccola parte la complessa elaborazione di una maschera, non portasse invece a considerare nella direzione opposta. Paradossalmente, rispetto al risultato, il cui impatto è spesso, innegabilmente, “espressionista” – l’acme del romanticismo –, verso una pratica di un rigore “bizantino”, ovvero accuratamente, puntigliosamente artigianale (in senso alto, come quella immaginata da William Morris o della maggior parte dei raffinati manufatti Art Nouveau). Anche nel colore non c’è compiacimento, nessuna indulgenza verso accostamenti scontati né verso il gusto corrente. Anche il colore infatti, al pari della forma, è strumento, talora volutamente stridente, antigrazioso,  per stravolgere intenzionalmente la consuetudine naturalistica, quasi a voler sgombrare il campo da ogni equivoco che una qualche apparenza umana potesse generare.


Salvi si sofferma sul tema della solitudine, anzi, pare questo il filo che collega intimamente il suo lavoro: “l’infinito vuoto, l’infinito niente…”, la consapevolezza dell’inutilità e al contempo la “dannazione” della creazione, del lavoro di cui l’artista non può fare a meno: quasi una malia, un sortilegio incurabile. Da qui, forse, lo spaesamento, l’approdo costante a un mondo dell’assenza, nel quale gli interlocutori sono di carta e parole, o restano fissamente distesi su imprimiture di gesso, in cornici intagliate, nel silenzio perenne di musei e navate. Indifferenti anche loro alla chiassosa assenza di interlocutori che abbiano occhi.
u.s.

* Le opere che qui vengono presentate sono esposte, assieme a molte altre, fino al 31 maggio 2012, alla Biblioteca San Giorgio, in Pistoia. La mostra che le raccoglie, promossa dall’Associazione Oltre l’Orizzonte, s’intitola “Faccia a Faccia” ed è l’inizio di un progetto che ha per tema “La solitudine: il pieno e il vuoto”.

("Cliccare" sull'immagine per ingrandirla)

mercoledì 9 maggio 2012

Embè!




Bartolomeo ingegnoso, d’una trave fece un fuso[1]
Brutti tempi! C’è chi per suicidarsi usa un revolver, chi, invece – più d’uno –, preferisce la politica. Ma non infierirò, sarò delicato, non vorrei che il quasi cadavere, in un residuale impeto megalomane, approfittasse per darmi del Maramaldo, per immaginarsi nei nobili panni, assolutamente inappropriati, del Ferrucci.
Dopo aver letto il proclama che da sabato scorso “scorrazzava” su e giù per la rete, tutti trepidanti aspettavamo:
Quando, 2 anni fa, lasciammo tutti i nostri incarichi e ci mettemmo in cammino lungo strade nuove tutte da costruire molti ci considerarono pazzi, molti ci abbandonarono, molti ci chiesero perché? Lunedì sera questi amici avranno le risposte e improvvisamente tutto diventerà loro chiaro. 

Il tono, vagamente profetico, intriso di una visionarietà “messianica” – quasi –, lasciava intravedere il consumarsi dell’evento nel mentre i barbagli dell’aura anticipavano all’attonita folla lo “Stupor mundi” – novello – in ascesa. 

Embè! – Ha esclamato uno del pubblico in Sala Maggiore, all’apparire dei primi risultati. – Da Alessio mi aspettavo di più!
Anche lui, s’aspettava di più! – Ha soggiunto un altro, mentre i sodali “terzopolisti” molto discretamente si eclissavano.

Ma il nostro fine politologo, ora racconta, tramite i giornali, che no, non aveva considerato il Movimento 5 stelle, sennò il voto di protesta sarebbe andato maggiormente a lui, e poi continua a fingere un mondo che non c’è, raccontando alla gente altre amenità. “Robe” neppure da teatrino di parrocchia!
Continua, continua pure a credere che il mondo sia quello che a te piace immaginare. La realtà è tutt’altra cosa e per tentare di incidervi in qualche modo occorre prima farsene un’idea, il più aderente possibile. Altrimenti la letteratura, certe cliniche e molte barzellette son piene di gente che immagina beatamente di essere il “personaggio” che non è in un mondo che non c’è.
Ma ora, caro Alessio, cerca di non immaginarti subito nei panni dell’ hidalgo Quijote, non ti montare la testa, forse un po’ Sancho..., dopo qualche tentativo… No, rasserenati, non andrò oltre. In verità non ti saresti meritato neppure queste cinque o sei righe! Qualcuno avrà certo da rimproverami per il tempo buttato.
Fin tanto che continuerà questa noiosa, spudorata mostra di sé, fin tanto che continuerà a prevalere la presunzione e il desiderio di pavoneggiarsi, il velleitarismo personale, gelosie e piccole, infime miserie, la gente continuerà a fuggire sdegnata, disgustata. Continueranno a vedersi, così, elezioni dove trionfa la sinistra, e vane listarelle personalistiche, una volta dopo l’altra, raccoglieranno cifre elettorali risibili. Così il rituale si ripeterà, certamente, e ci sarà ancora chi, prima che un indice si levi a chiedergli conto, incapace di assumersi le responsabilità che gli competono, come certi bimbetti viziati incolperà lestamente del proprio insuccesso ora questo o a quello. Ora, io credo fermamente che ciascuno debba assumersi le proprie responsabilità. La gente si aspetta un minimo si serietà – almeno –. Il resto è un’offesa all’intelligenza e “una presa di giro” per la Comunità che a buon diritto si aspetta altre cose. Certamente più serie.
La gente, infatti, come sto sostenendo da tempo in queste paginette, non ne può più. È delusa, amareggiata, ha perduto ogni fiducia nella Politica. Così preferisce non perdere il proprio tempo nel reiterare l’inutile rito di un inutile voto. Perché? Per chi? Per cosa? Si domanda.
La risposta è chiara a tutti: molti non sono andati a votare e molti di quelli che ci sono andati hanno votato per Grillo (certo non intendevano votare per te ed hanno invece sbagliato). Un altro inutile voto, ma forse un modo per rendere più evidente il proprio disagio, dicendo: “buttiamola in chiasso!”
u.s.
Immagine:
Diego Velázquez, Il Conte Duca di Olivares, 1624, Olio su tela, San Paolo, Museu de Arte



[1]  Proverbi Toscani Raccolti e Illustrati da Giuseppe Giusti, ampliati e pubblicati da Gino Capponi, Firenze, 1873, p. 422.

domenica 6 maggio 2012

"le querce fanno limoni"





Ciascuno di noi vive un tratto di tempo troppo breve per capitalizzare un’esperienza che consenta di non meravigliarsi di quanto accade, e che, invece,  già molte, innumerevoli volte, è accaduto. Ci si stupisce di fronte allo sbandamento, davanti alla confusione generale che la fa da padrona, e non si capisce come sia possibile che il “diavolo” se ne vada a braccetto con l’ “acqua santa”, e nessuno in strada ti guardi perplesso se, descrivendo in qualche modo la realtà circostante, gli fai notare che, quando vedi il “curiale” a braccetto col sanculotto, “le querce fanno limoni”[1]. Guardando più a ritroso, invece, tutto può apparire normale, basta, a riprova, rileggersi qualche paginetta di Trilussa. Il proliferare delle liste, dei gruppi, delle divisioni? Si tratta di dinamiche sociali e individiali collaudatissime, addirittura naturali, che si spiegano con “la guerra di tutti contro tutti” (bellum omnium contra omnes), di Hobbes, il cui germe è interno, connaturato come l’istinto di sopravvivenza, e come l’herpes si manifesta sul labbro quando si abbassano le difese immunitarie. Nel nostro caso, quando si perdono di vista gli obiettivi veri dell’azione politica, che non possono coincidere che col bene della comunità, e l’azione generale, disordinata, quasi impazzita, va contro la realizzazione di quell’interesse. Siamo infatti di fronte a manifestazioni che ci avvertono  di uno stato patologico del sistema. Le spinte individualistiche risultano a un tratto vincenti e, in un quadro generale che ha smarrito, sembra, scale di valore e punti di riferimento, mediocrità, presunzione, velleità paiono prendere il sopravvento e producono inevitabilmente divisione. Intendiamoci, niente contro la divisione, quando questa sia normalmente intesa come la scelta di percorsi diversi che si intendono seguire per realizzare l’interesse generale o per il conseguimento di differenti obiettivi nei quali si ritiene consista la realizzazione di quell’interesse.
Acutamente Antonio Nardi, seppure celiando, descrive la situazione (http://blog.studenti.it/domenicalaura/il-gastaldo-2-i-refrattari/): … i pistoiesi [ma il fenomeno, purtroppo, non è solo locale (ndr)] si associavano non per mettersi insieme ma per dividersi meglio. Anche in questo Pistoia si rivelava una città sui generis. Le associazioni nascevano ad excludendum. La dinamica era semplice. Una volta fatta l’associazione, cominciava la gara per le cariche. Ognuno aspirava alla presidenza, si fosse trattato di una compagine con mille aderenti o con cinque associati. La mancanza di posti e la necessità di scegliere creava degli scontenti, ed in essi la delusione cresceva, cresceva, fino a farsi lancinante, feroce, insopportabile. E se ne andavano per fondare un’altra associazione, possibilmente concorrente…
Lo citazione descrive per burla ma in modo estremamente attendibile – conoscendo fatti e persone – le ragioni tutt’altro che politiche che nel passato recente hanno visto la migrazione di alcuni dai gruppi consiliari dove erano stati eletti  o ancor più recentemente dar vita a liste e contro liste, ovvero “fuochi” e “controfuochi” che ben poco apparentemente hanno a che vedere con l’interesse generale della nostra Comunità (ma che potrebbero rivelarsi assai funzionali  alle esigenze di Bertinelli, dato che: “acqua torbida, fortuna di pescatore” – come verrebbe da suggerire a quei militanti della sinistra, che storcevano la bocca davanti alle otto liste a sostegno della candidatura Bertinelli –, quelle liste, proprio perché tante, potrebbero, infatti, rivelarsi un efficace marchingegno per prendere molto e quasi nulla dare. Del resto, come sosteneva quel tale “irrorando” l’acqua limacciosa della darsena, “tutto fa!” E non è, forse, realizzare un vero “gioellino” il riuscire ad utilizzare a proprio vantaggio le altrui debolezze? Gli altrui appetiti, l’altrui pochezza, che sovente si configura come l’irrefrenabile tendenza a dividersi velleitariamente per affermare quasi esclusivamente se stessi?)
Quando non sia così, si intravedono, anche se sfugge il dettaglio, i disegni di un qualche altro interesse, senz’altro legittimo, che intende far valere il proprio peso nella gestione della cosa pubblica, magari attraverso la presenza in campo di figure controllate direttamente. Niente di nuovo, niente di cui meravigliarsi. Epperò, come si percepisce, quanto sta accadendo rappresenta una estrema, insana, disordinata frammentazione: una sorta di mondo parallelo che nulla ha a che vedere con i reali e legittimi bisogni della gente. Talora, addirittura, siamo di fronte a candidati che molto “spensieratamente” rappresentano gli interessi di “Tizio” in una lista e nel medesimo tempo di “Caio” in altra lista nel vicino comune, ovvero, qualcuno, ancora con la tessera “calda” del recente congresso, se ne sta bellamente a rappresentare posizioni diametralmente opposte, o, continuando, altri che, senza pudore alcuno, come nella commedia goldoniana, serve due differenti padroni nel medesimo ruolo. È certo anche per questi motivi, oltre che per  le disdicevoli “faccende” della politica nazionale, che in molti, disgustati, non vanno a votare. Finiscono con l’accettare così, supinamente, ciò che accade; preferiscono fare un passo indietro o farsi da un lato come se la cosa non li riguardasse. E ciò, guarda caso, proprio nel momento in cui il bisogno di tutti alla difesa della cosa pubblica si fa sentire più forte.
Io non so dire se come comunità nazionale riusciremo a salvarci dalla crisi e da noi stessi. Credo, però, che se, ciascuno per il “suo”, riusciremo a ritrovare la fiducia in noi stessi e a far quadrato contro il degrado morale e politico cui ogni giorno assistiamo, saremo in grado di affrontare qualsiasi crisi. Sicuramente, prima o poi, occorrerà decidersi a prendere qualcuno a calci nel sedere.
u.s.

[1] Epperò, certo conviene essere prudenti né affrettati nel giudizio, dato che tutte le cose, anche quelle apparentemente contraddittorie e incomprensibili, hanno una loro ragione. Talora si creano singolari convergenze di interessi: anche in natura, Bernardo, il paguro, spesso cambia casa e si difende trasportando l’attinia.